La nuova normativa del Governo del Madagascar per frenare la piaga della tratta di persone, ha provocato svariate critiche: si fa notare che anziché doverose misure contro il traffico di donne malgasce – quelle che vanno a lavorare come collaboratrici familiari in alcuni Paesi arabi o asiatici – si dispongono solo nuove complicazioni burocratiche, che semplicemente ostacolano tutti i lavoratori malagasy all’estero, o aspiranti tali. Come se il fine fosse di scoraggiare il lavoratore, anziché di contrastare lo sfruttamento di esseri umani. Si osserva poi che queste misure possono favorire il lavoro nero e indebolire il travailleur malgascio, e che soprattutto non tengono conto del cosiddetto «lavoro alla pari», che non può esser disciplinato da un comune contrat d’emploi.
Vediamo le nuove regole. Secondo il Ministero degli Affari esteri, chi intende lasciare il Paese per lavoro, deve innanzitutto «ottenere un visto sul contratto preliminare di lavoro, firmato dalle due parti presso l’Ambasciata del Madagascar nel Paese di destinazione»; è necessario quindi «superare un controllo di moralità e un esame situazionale presso il Ministero della Pubblica sicurezza e sottoscrivere il contratto di lavoro presso il Ministero del Lavoro, della funzione pubblica e delle leggi sociali». Tutte le procedure «devono essere terminate 15 giorni prima della partenza», prosegue il documento.