Pochi giorni fa, circa 100 ettari di foresta sono andati in fumo, nel Parco nazionale di Ankarafantsika, nella Regione di Boeny. L’enorme incendio ha devastato quest’area protetta per quasi una settimana: le fiamme si sono propagate rapidamente, a causa del forte vento della zona. La difficoltà di accesso e la mancanza di mezzi – non solo aerei – per lo spegnimento, hanno fatto il resto. I vigili del fuoco – supportati da militari e gendarmi, nonché dalle comunità del villaggio – sono stati costretti a usare dei rami, oppure dei secchi d’acqua. Secondo la ministra dell’Ambiente e dello sviluppo sostenibile, Baomiavotse Vahinala Raharinirina, «non possiamo più continuare a combattere gli incendi con i rami… Dobbiamo investire in attrezzature che soddisfino gli standard. La mancanza di attrezzature adeguate favorisce l’espansione degli incendi e aumenta l’entità del danno ambientale».
Ad essere sotto accusa è tuttavia, in primo luogo, la migrazione interna: ormai comunemente definita migrazione climatica, essendo aggravata in modo decisivo dal riscaldamento globale. Un fenomeno difficilmente prevenibile, e per il quale i mezzi di coercizione sono difficili da usare. Il ministro parla apertamente della popolazione proveniente del Sud del Madagascar, che «entra in detta area protetta per coltivare piante, taglia e brucia per produrre mais, manioca o addirittura carbone di legna».