Non è nuovo, in Madagascar, il dibattito sull’opportunità di puntare sempre più sul modello agricolo dell’agribusiness, l’agricoltura intensiva. Da quando però è stato presentato il progetto di legge sull’agrégation agricole, l’aggregazione agricola, i toni dello scontro sono più aspri. E il recente dibattito tra entità pubbliche e private presso l’Economic development board of Madagascar, non li ha affatto smorzati. La proposta di legge crea un nuovo contratto, un quadro giuridico che mira a rafforzare il modello dell’agribusiness. Giuridicamente l’aggregazione agricola è un contratto tra cooperative di agricoltori, allevatori o pescatori – cioè gli “aggregati” – e un’impresa, un investitore, ossia l’”aggregatore”.
I favorevoli allo strumento, in primis il Ministero dell’Agricoltura, sono convinti che esso accresca il valore aggiunto dei prodotti agricoli, limiti le fluttuazioni ingiustificate dei prezzi, e migliori la produzione, diffondendo l’uso di tecniche innovative. Le entità contrarie segnalano invece l’inefficacia dello stesso nel raggiungere l’obiettivo dell’autosufficienza alimentare: si preferiranno le colture non alimentari, e soprattutto l’export, a discapito del mercato interno. Dito puntato, poi, sull’inevitabile accentuazione del processo di concentrazione delle terre, e la forte perdita di autonomia da parte dei contadini, specie nella definizione dei prezzi.