In occasione della presentazione di un proprio Osservatorio sulle migrazioni interne, l’Académie nationale des arts, des sciences et des lettres de Madagascar lancia l’allarme sulle conseguenze – ambientali e sociali – dell’incremento del fenomeno. Si critica l’assenza dello Stato di fronte all’esodo verso l’Ovest delle popolazioni del Sud, che per sopravvivere disboscano le foreste locali – specie nella Regione Menabe – e piantano mais e arachidi. Prodotti molto richiesti dal mercato cinese. Secondo la relazione principale, «la migrazione interna è attualmente un pericolo per l’ambiente e per la stessa società», e «la popolazione del Sud del Paese sta abbandonando le proprie terre d’origine a causa dei fenomeni di kere dell’ultimo decennio, per effetto del cambiamento climatico o anche per tradizione».
Si osserva che il fenomeno è stato ereditato dall’epoca coloniale: gli stessi colonizzatori favorivano il flusso dei malgasci «dal Sud verso le altre regioni produttrici del Paese. Ciò, per impiegarli come braccianti nelle piantagioni di tabacco, o di altri prodotti di esportazione». E si aggiunge che «lo Stato non è più in grado di controllare, monitorare e valutare il fenomeno. Non disponiamo di dati statistici», sebbene, secondo uno studio di tre anni fa, «otto karandalana» – ovvero camion che trasportano sino a ottanta persone – «sbarcano ogni giorno nella Regione Menabe».