Giorni fa sono sbarcate ad Antananarivo – provenienti dal Kuwait, con un volo di rimpatrio umanitario – 176 donne (e un bambino figlio di una di loro) in condizioni di vulnerabilità. Si è trattato del primo tentativo riuscito, da parte del Governo, di ricondurre in patria – causa emergenza coronavirus – i malgasci all’estero. Si è deciso appunto di dare la priorità a queste ex lavoratrici domestiche, che nel Paese del Golfo persico hanno subito maltrattamenti fisici o morali – sino allo sfruttamento lavorativo, agli abusi sessuali, e alla riduzione in schiavitù – e in certi casi hanno lasciato il Madagascar tramite organizzazioni dedite alla tratta di persone.
Secondo la portavoce del Ministero degli Affari esteri, Adèle Virginie Rahelisoa, «la maggior parte di queste donne è priva di documenti ed è stata vittima di attacchi fisici e verbali, che hanno costretto alcune di loro a fuggire, altre sono state vittime della tratta di esseri umani». Il rimpatrio, frutto della collaborazione tra i Governi kuwaitiano e malgascio, è dunque legato alla tratta di persone. Reti criminali – spesso gestite da malgasci – intermediano per l’invio di connazionali – con la prospettiva di un lavoro domestico ben remunerato – in alcuni Paesi arabi (specie Kuwait, Libano, Oman e Arabia saudita).
Lì il soggiorno degenera in abusi d’ogni tipo e spesso in fughe in Commissiariati o Ambasciate straniere.